La strada è maestra di vita. Solo viaggiando, allargando i propri orizzonti e affrontando nuove sfide, o semplicemente andando a curiosare in posti nuovi, riesci a scoprire qualcosa di te e del mondo che ti circonda. Ogni viaggio ha un mezzo ideale, non sempre una Harley è quello più pratico ma di sicuro è quello che preferisco, può trasformare lo spostamento più banale in avventura. Con ogni moto puoi muoverti in fretta e prenderti il tempo di osservare ciò che ti circonda; viaggi dentro al panorama, non lo guardi passare dal finestrino. Ti bagni se piove e ti scotti il naso quando torna il sole… Tutto questo con una Harley si carica di vibrazioni, emozioni e significati particolari, non fosse altro per la colonna sonora, simile al battito di un cuore umano, e per l’aggregazione spontanea che si crea intorno al bicilindrico a V, facendo dimenticare ogni barriera di classe, lingua, reddito, religione e credo politico. Grazie a queste moto ho conosciuto gente speciale in tutto il mondo, individui diversi uniti da una passione profonda, indelebile come gli innumerevoli Bar & Shield tatuati sulla pelle o nel cuore... Non so se condividerete queste righe, ma spero di sì; credo che anche per voi tante idee brillanti si accendano in testa come lampadine quando stacchiamo la spina e, lasciati alle spalle i problemi d’ogni giorno, ci lasciamo andare al ritmo del motore, alla canzone del vento. Ricorderò a lungo il momento in cui ho preso la decisione di fare una rivista dedicata alla nostra passione per Harley, chopper e custom. Non stavo passando un bel momento, anni di lavoro venivano quasi cancellati e per la seconda volta nel giro di poco tempo tutto sembrava finito. Stavo rincasando all’imbrunire, in sella al mio vecchio Sportster, e decisi di cambiare strada, senza guardare l’orologio o i cartelli stradali; a dire il vero il contachilometri non l’ho mai avuto... Vagabondando senza meta nella metropoli addormentata, e poi nella periferia e nella campagna deserta, la pressione diminuiva, la rabbia si raffreddava nel vento e i pensieri tornavano a fluire liberi, anche se dolorosi. L’alternativa mi parve all’improvviso possibile, come un bivio che ti spinge ad abbandonare una strada vecchia, percorsa troppe volte, in cui buche e macchie d’olio insidiose ricoprono l’asfalto. Alla depressione più nera si sostituì in pochi chilometri un entusiasmo incontenibile e, sotto un acquazzone, rientrai tardi, stanco e bagnato ma fiducioso. Invece di rincasare subito passai un momento ad ascoltare il crepitare del metallo caldo, asciugando le cromature ammiravo la bellezza vissuta di una compagna di vita che mi accompagnava da più di vent’anni. Un vecchio adagio invita a non lasciare la strada vecchia per la nuova, perché sai ciò che lasci ma non sai quello che trovi. Chi come noi nutre una passione spesso soffre di nostalgia, non accetta facilmente le novità... Sono passati nove anni da quando scrissi il primo editoriale di LowRide; credo vi siate abituati alla nostra rivista e abbiate accettato la visione che condivido con voi, oltre che con i nostri collaboratori. Lo spero e queste parole rappresentano tutt’ora lo spirito col quale ogni mese rinnoviamo il nostro patto con i lettori.