«Tutti i miei amici conoscono il low rider. Il low rider è un po′ fuori. Low rider guida un po′ più piano. Low rider conosce ogni strada, yeah»
Una prova su strada strana, diversa da ogni altra. La moto pare uscita dalla fabbrica, ma ha più di quarant’anni. Prima immatricolazione 1978. Viaggio nel tempo, nella storia delle due ruote, tra le mura di una città e nella vita di chi scrive. More than a Machine, così recitavano pubblicità che, con entusiasmo fanatico di adolescente, sbirciavo su rare copie di Easyriders che amici, piccoli rocker e aspiranti biker, scovavano chissà dove. Come carbonari le sfogliavamo, in sottofondo punk, hard e funk sparati dallo stereo, di dubbia provenienza, nel bauletto d′una Vespa truccata. A nessuno piacevano quelle moto che sfuggivano alle nostre tradizioni, proprio come la musica che sentivamo sulle radio libere in FM e suonavamo in cantina. Scoprimmo che i concessionari Aermacchi Harley-Davidson in teoria potevano ordinarle, ma coi milioni di un big twin ci compravi casa; un SST 125 pareva già il sogno proibito, figuriamoci ′ste locomotive... I temerari chopperizzavano Ducati e Morini, qualcuno prendeva cruiser giapponesi, ma il sogno di cavalcare la tempesta a tre spanne dall′asfalto non svaniva, continuava a crescere con la forza dell′immaginazione. Bella e impossibile, quella Harley-Davidson sinistra pareva destinata a rimanere il sogno di una vita. Dopo pellegrinaggi ad American Motors di Ponte San Pietro (BG), avvistamenti al pub Blues Bikers e nei raduni, arrivò un Roadster. Oggi c′è un Low Rider nel mio garagino, ancora non ci credo...