Fare riviste artigianali proprio come costruire chopper o custom car, può sembrare un mestiere come tanti. Costa fatica e attenzione costante, devi reinventarti ogni volta e ti sembra di non finire mai; contrattempi e notti in bianco si sprecano, poi arriva la soddisfazione che fa dimenticare ogni problema e riparti. A me sembra una fortuna poter coltivare le mie passioni, sempre meglio che lavorare. E poi oggi, anche dal punto di vista tecnico, tutto è più facile... Venticinque anni fa il computer era una grossa macchina per scrivere; scattavi e solo dopo qualche giorno scoprivi se le diapositive erano pubblicabili. Non c’era il telefono cellulare, si scarpinava e ci si abbracciava o ci si mandava a quel paese in diretta. Se prendevi un impegno non potevi annullarlo cinque minuti prima. Non aveva senso chiamare un fisso da una cabina, sempre se trovavi i gettoni, per chiedere: dove sei? Niente messaggini né e-mail, scrivevi una lettera e prima di mettere nero su bianco una cattiveria gratuita ci pensavi due volte, le tue parole attraversavano l’Italia o i continenti e arrivavano dopo un sacco di tempo ma duravano e pesavano; la calligrafia raccontava il tuo stato d’animo. Non era immaginabile una realtà parallela come il web, per strada come nella vita l’impatto con gli altri era diretto. Venticinque anni fa c’erano ancora le Alfette con la sirena, i due tempi, le impennate e la miscela. Un litro di super costava la cifra faraonica di 1.300 lire, così tanto che di sera fare il pieno coi nostri Sportster nei primi distributori automatici era un problema: messo un deca, riempivamo i peanut e ci avanzava sempre un litro! Girare in moto l’Italia era bellissimo; mai dormito in campeggio, sempre sacco a pelo dove capitava vicino al fuoco, con un soffitto di stelle. Dal 1986 il casco era obbligatorio ma ce l’avevo già perché andavo all’estero; senza passaporto e una dozzina di valute diverse non giravi l’Europa. Solo nel nord vedevo hot rod, custom car e chopper ammirate al cinema, in American Graffiti e Easy Rider... Oggi tutte queste realtà sono concrete anche qui. Molto è cambiato ma basta saltare in sella o mettersi al volante per scoprire che il mondo non è rimpicciolito. I rapporti umani, quelli veri, resistono nel caos informatico ed economico che pare inghiottire tutto e tutti. Me ne rendo conto quando la voce di Alessandro Pacelli, trasmessa da un iPhone, mi ricorda che ci conosciamo da una vita. Lui da 25 anni fa il suo lavoro, anch’io da allora vivo il custom... E pensare che Dayana non era nemmeno nata!