Inizia una giornata particolare. Il sole s’è alzato presto, ma dopo di me. È troppo pigro per scaldare le ossa, i suoi raggi fanno brillare la brina con riflessi metalflake sui tetti e sugli alberi. Il cielo è terso, fa un freddo cane ma che m’importa. Metto su mutandoni, maglia di lana, scarpe grosse e vecchi guanti; intanto il Twin Cam si scalda. Un caffè e parto adagio, ci mette tanto a entrare in temperatura, ogni tanto tossisce e fa compagnia. Mi sento un po’ triste, sarà l’ultimo giro con questo Super Glide che per anni m’ha portato in giro per l’Europa, dalle Alpi alla Sicilia, al Free Wheels e in un sacco di posti. Devo percorrere una cinquantina di chilometri e guido con gli occhi bene aperti, lacrime di freddo si sciolgono nel vento mentre prendo le strade più lente. Mi districo nei quartieri della vecchia Milano, rotolo sul pavè dei vicoletti e costeggio il Naviglio. Prendo tutti i semafori rossi, voglio metterci più tempo possibile. In fondo sono allegro, sto per passare qualche ora con Max, una persona straordinariamente normale, un motociclista che non conosco benissimo ma sento vicino per vari motivi. A pelle mi sta simpatico. Cerco d’immaginare i discorsi, salteranno fuori aneddoti che non mi stanco di riascoltare, qualche storia che non conosco... Un automobilista mi scuote dal mio fantasticare a occhi aperti, quello stato in cui sei attentissimo a ogni dettaglio ma lontano dai problemi di ogni giorno: lo zen e l’arte di non andare a sbattere in moto. Rallento, evito una lastra di ghiaccio ma lui sta attaccato e strombazza. Allo stop grida dal finestrino: ”Ma col freddo che fa devi andare proprio in moto? Poveraccio...” Sorrido alla fortuna che ho, alla possibilità di coltivare passioni, amicizie e interessi che non mi lasciano, anno dopo anno. Sto già molto meglio. Anzi, non sento più il freddo. Lascio strombazzare. Poveraccio sì, ma bello...