Ogni giorno che passa rimette in discussione le certezze e mi obbliga ad affrontare nuovi problemi. Una delle pochissime consolazioni è che almeno una convinzione si rivela sempre più giusta, viene condivisa da un numero crescente di persone e dilaga a macchia d′olio nei contesti più inattesi. Il custom non è una moda passeggera; viene percepito come un′attitudine con la quale affrontare la vita a testa alta, vivendo a fondo le proprie passioni. Aiuta a costruirsi un′identità forgiando il carattere. Quando ero uno sbarbato questo termine stava a indicare solo motorette col manubrio a corna di bue e nomignoli improbabili, di vaga ispirazione americana, magari italiane o giapponesi. Eppure io avevo l′impressione che ci fosse qualcosa dietro, che un certo stile venisse da lontano, magari veramente dagli Stati Uniti. Mi sembrava che le bici da cross truccate del nostro cortile, dipingendole a pennello di nero e montando i manubri più alti dopo aver eliminato fari e parafanghi, somigliassero a quelle moto con le forcelle lunghe che ogni tanto s′intravedevano in qualche film. Col tempo ho scoperto le origini, la storia, eroi e artefici di un′avventura che affonda le radici nel dopoguerra, nelle corse sui laghi salati, nei primi motoclub fuorilegge e nelle imprese degli hot rodder. Nei decenni ho colto similitudini tra tutto questo e l′estro con cui ”pistolavamo” ciclomotori e scooter. Notti insonni nel garage prima di un viaggio, corse affannose alla ricerca di pezzi e risate tra amici quando ne combiniamo una davvero grossa sono molto probabilmente simili in tutto il mondo, in ogni epoca. Parlando con greaser che hanno dedicato anni a rifare un′americana anni 50 e con scooter boys di oggi si percepiscono gioie e dolori molto simili, si torna ragazzini e la vita appare un po′ meno grigia. E poi chi di noi non ha cominciato con una vecchia Vespa o con una Lambretta? Io stesso sognavo il Fantic Chopper ma poi ho girato l′Europa con un PX truccato...