A volte è meglio stare zitti. Non entrano moscerini in bocca. Non v’è mai capitato di ripensare a una vostra frase, avveratasi come una profezia, maledicendo voi stessi? A me è successo con l’editoriale del numero scorso. I desideri, una volta realizzati, perdono quella magìa che faceva sospirare quando parevano impossibili... Lo ripeto schivando camion, buche e pozzangheroni sull’Autostrada del Sole. Pare una presa in giro, tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello la pioggia è perenne come nella foresta pluviale, forse chiamarla Autostrada dei Lavori in Corso pare brutto. L’acquazzone non importa, l’incavolatura è un’altra. Premetto che se sono un biker la colpa è di un modello scoperto in bianco e nero sulle riviste. Non ero maggiorenne e il Low Rider mi piaceva da pazzi, però lo Sturgis faceva brutto. Bigiai e lo vidi a colori al Salone di Milano, mi accorsi che la riga sui cerchi era arancio e fu subito una fissa. Lungo quanto una 128, costoso come un bilocale, sogno impossibile; raccogliendo pomodori d’estate sarei invecchiato in Vespa... Poi ripiegai su un Roadster di quinta mano; gli somigliava, costava un terzo e andava come un treno. Iniziai a girarci l’Europa contentissimo, senza toglirmi lo Sturgis dalla testa. Trent’anni dopo ne ho trovato per caso uno del 1980, convincendo il primo e unico proprietario a venderlo. Rimettendolo tutto originale m’è sembrato di realizzare il sogno. Perfetto nei giretti di prova, parte subito e gira bene nel traffico di Milano. Il primo viaggio è verso il Trasimeno. Solo 450 chilometri ma da incubo. A 100 orari le vibrazioni spaccano i polsi, a 90 i camion alitano sul collo. La pompa del freno perde, l’olio schizza ovunque, m’inzuppa e si mangia jeans e spie a vista d’occhio. Perdo viti, il contagiri salta fuori dal cruscotto e l’impianto elettrico impazzisce: logico, il faro s’è troncato di netto e il cablaggio fa scintille! Reggo il fanale con una mano, non c’è corsia d’emergenza, impossibile fermarsi. Prendo la prima uscita, mi salvo e rifletto sul destino maledetto. Fil di ferro, pinze e poi riparto lentamente, lungo arterie secondarie. Il ritmo cala, la strada si allunga ma il viaggio diventa piacevole. Le vibrazioni tornano sopportabili. Scopro paesini e bar che non conoscevo, lascio fluire le sensazioni e mi rifletto nel serbatoio, nero come un pianoforte. Smette di piovere, inseguo nuvole che corrono e arrivo senza quasi rendermi conto a destinazione. Lo Sturgis qualche problemino ce l’ha ma è uno splendido trentacinquenne, vibra e mi parla di me, della mia impazienza. Devo solo dedicargli più attenzioni e sognare spiagge, sole e 4 cilindri che non vibrano... Tutto questo restando muto.